La Farmacia dei servizi: un contributo inedito per la cronicità sul territorio

Pubblicato il 29/03/2019 SISTEMA SANITARIO

a cura di: Teresa Spadea e Alessandro Migliardi

Negli ultimi anni anche in Italia si sta sviluppando un nuovo modello di Farmacia dei servizi che identifica il farmacista come il professionista sanitario più facilmente accessibile per i cittadini e gli riconosce un ruolo nella prevenzione delle patologie croniche. Il Servizio di Epidemiologia della ASL TO3, con la collaborazione dell’Università di Torino, ha coordinato un progetto CCM inteso a sviluppare e sperimentare interventi della farmacia per la prevenzione e il controllo dell’aderenza su due malattie croniche, diabete e BPCO, in tre regioni (Puglia, Umbria, Piemonte). Il progetto era basato su una precedente esperienza piemontese, intesa ad applicare e valutare questo modello di farmacia nella prevenzione del diabete, attraverso il riconoscimento precoce di persone con diabete misconosciuto o ad alto rischio di svilupparlo (case finding), o con il counselling ai pazienti diabetici non aderenti al percorso terapeutico ottimale. I principali punti di forza e le criticità dell’esperienza sono stati discussi con esperti e attori del sistema sanitario durante il convegno La Farmacia di Comunità: un contributo inedito per la cronicità sul territorio, tenutosi a Torino il 14 e 15 febbraio con l’obiettivo di comprendere meglio le implicazioni per la messa in pratica dei risultati.

È condivisa l’opinione che la farmacia di comunità rappresenti un arricchimento promettente del ruolo del farmacista nelle innovazioni di organizzazione e programmazione che un SSN in cambiamento sta affrontando soprattutto con il Piano Cronicità e il Piano di Prevenzione. In effetti, i risultati sul case finding sono promettenti perché portano al riconoscimento e diagnosi di una quota di casi non noti corrispondente all’atteso; andranno valutati gli esiti di salute a lungo termine di questa anticipazione diagnostica, anche tenendo conto degli effetti indesiderati dei falsi positivi; come pure andrà valutato il rapporto costo beneficio dell’intervento. I risultati sono più controversi sull’aderenza a causa della propensione ad un maggior rispetto del percorso terapeutico da parte dei pazienti che frequentano la farmacia e che sono più disponibili a partecipare al progetto su invito del farmacista. In questo caso, la sperimentazione paga lo scotto di un intervento non inserito in un programma strutturato di identificazione dei pazienti ad alto rischio di non aderenza, su cui indirizzare il compito addizionale del counselling del farmacista. Inoltre gli strumenti di misura della non aderenza devono essere ricalibrati alla luce delle incongruenze emerse tra i dati autoriferiti e quelli derivati dai sistemi informativi correnti.

Gli esiti del progetto hanno dimostrato una buona trasferibilità geografica del modello, soprattutto se si riescono a tenere in considerazione le peculiarità della realtà in cui se ne vuole dare applicazione. Anche la trasferibilità ad altre voci nosologiche sembra promettente, come nel caso della BPCO, ma questa conclusione non è facilmente generalizzabile a tutte le patologie croniche.

È stato altresì dimostrato come questo tipo di modello sembri essere più efficace sui soggetti con uno stato socioeconomico più basso che hanno un maggior rischio di sviluppare una patologia cronica e una più alta probabilità di non essere adempienti alle terapie; questo significa che la farmacia potrebbe essere un utile presidio in termini di equità d’accesso alle cure. Un contributo peculiare è che la farmacia potrebbe venire incontro alle esigenze di quei soggetti apparentemente sani, finora “invisibili” al SSN, che fuori da un programma di screening ad invito attivo non sarebbero presi in carico prima della presentazione di un’acutizzazione della patologia.

È emerso inoltre nel progetto, che servizi di questo genere sono graditi dai pazienti in quanto sono gratuiti, personalizzati, permettono di ricevere informazioni utili e di sentirsi “presi in carico”. D’altro canto, anche i farmacisti hanno apprezzato il coinvolgimento confermando di essere stati arricchiti nel ruolo ed aver migliorato il rapporto con l’utente instaurando una fidelizzazione più efficace.

In conclusione i risultati ottenuti hanno evidenziato un modello trasferibile ad altre realtà e ad altre patologie, sicuramente migliorabile negli strumenti, ma con buone potenzialità d’impatto soprattutto sulle popolazioni con minore probabilità di accesso alle cure, e in grado di espletare il suo pieno potenziale se inserito in un percorso strutturato di affiancamento alle altre professioni nella prevenzione e gestione integrata del paziente cronico.

Per saperne di più, il link alla pagina del progetto CCM, sul sito del Ministero della Salute: http://www.ccm-network.it/pagina.jsp?id=node/2202




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